
Un giro ad anello di una settimana nel Marocco partendo dalla città imperiale di Marrkesh, per poi scendere lungo le dune sabbiose del deserto Erg Chebbi, risalire le città innevate alle pendici dei Monti dell’Atlante e infine visitare le ultime 3 città imperiali: Fes, Meknes e Rabat. Tra odori, suoni e colori della cultura marocchina.
Finalmente il giorno della partenza è arrivato. C’è curiosità e voglia di conoscere nuovi viaggiatori con cui condividere quest’ avventura. Da Bologna partiamo in 3. Il giorno prima siamo stati costretti a cambiare l’itinerario a causa del maltempo. Non possiamo fare il giro in senso orario altrimenti rischiamo di imbatterci nella tempesta di neve prevista ad Ifrane nei giorni seguenti. Procederemo in senso contrario passando da Marrakech. Cerco di rendermi utile e impiego le ore prima del nostro arrivo a programmare la visita della città. Atterriamo a Casablanca alle 19,00. Lì ci aspettano gli altri 7 che sono arrivati con il volo da Milano. Attendiamo l’ultima ragazza da Roma e il gruppo degli 11 è ora al completo.
Fuori dall’aeroporto c’è Jafid, il nostro autista, un tipo impenetrabile: scherzoso ma sempre con distacco, immerso nel suo mondo ma sempre attento a ciò che lo circonda. Giorno dopo giorno riusciamo a scoprirlo e grazie a lui a capire lo spirito del popolo marocchino: il senso di accoglienza verso lo straniero ma la fede salda alle proprie radici culturali; l’astuzia di chi nasce e cresce in contesti faticosi come i mestieri tradizionali delle città e il lavoro agricolo dei campi; il sarcasmo velato di chi ogni giorno si relaziona con turisti intenti a svaligiare mercatini alla ricerca di spezie particolari o di montare in sella ai dromedari per provare il brivido del deserto, fermandosi a questo, senza sapere che il Marocco è tanto altro ancora.
Al grido yallah yallah (andiamo andiamo) saliamo sul pulmino…direzione Marrakesh!
Iniziamo la giornata con una ricca colazione a base di Msemen. Si tratta del tipico pane usato dai marocchini alla mattina. Gli ingredienti sono semplici ma nutrienti, come del resto la maggior parte della cucina di questo paese. L’impasto è a base di farina di semola, lievito secco, burro fuso, zucchero e un po’ d’acqua. La pasta è poi divisa in piccole parti che vengono stese in uno strato sottile e cotte su una padella antiaderente pochi minuti per lato. Questi fragranti pancake sono serviti con marmellata, miele, burro e accompagnati da tè speziato.
Iniziamo la visita della città partendo da Place Jemaa el-Fna, letteralmente “Piazza della fine del mondo”. Di giorno ospita mercatini di ogni genere alimentare e chincaglierie per i turisti. Alla sera si trasforma in una grande fiera con decine di chioschi che preparano street food, mentre cantastorie, conduttori di aste pubbliche, suonatori si dispongono in più punti intrattenendo abitanti e persone di passaggio che si dispongono a cerchio lasciando di solito qualche dirham alla fine dello spettacolo. Place Jemaa el-Fna è’ il centro nevralgico di Marrakech, dividendo in due la città: al nord il quartiere dei suq (mercati), al sud la Kasba (parte storica) e il Mellah (quartiere ebraico).
Cominciamo con la zona meridionale. Ci fermiamo ad ammirare la Moschea della Koutoubia, una delle più rappresentative dell’occidente islamico. Fu costruita in un solo anno (1158) dall’Almohade Abd el-Moumen e deve il suo nome al quartiere di cui faceva parte: il suq dei kutub (librai), un suq di venditori di libri sacri. Il minareto che si staglia dalla moschea è il simbolo di Marrakesh, è più antico rispetto a questa anche se venne completato più tardi, nel 1196. Rappresenta il gemello del minareto di Siviglia (la Giralda) e servì come modello per erigere sia quello della città andalusa che la torre Hassan di Rabat – che avremo modo di visitare l’ultimo giorno.
Entriamo nella Kasbah attraverso la Porta Bab Agnaou, costruita nel XII secolo come accesso alla città e oggi l’ultima porta rimasta della dinastia almohade. Lo scopo principale era puramente decorativo, in quanto la vicina Bab er-Rob serviva come difesa. Facciamo un giro per il Mellah, il vecchio quartiere ebraico, entrando in diversi negozietti che vendono spezie senza difficoltà alcuna nel comunicare con i commercianti. Sono anzi loro che, pur non essendo mai stati in Europa ma in virtù del turismo, si districano perfettamente tra italiano, spagnolo, inglese… ammaliando il turista in spiegazioni senza fine su benefici e vantaggi di vari prodotti, fino a portarlo all’acquisto o perché affascinato o semplicemente perché sfinito dal tanto parlare.
Decidiamo di fare un giro per i suq di Marrakesh, raggiungiamo di nuovo Place Jemaa el-Fna e da lì prendiamo Rue Suq Smarine, la via principale del suq all’imbocco della quale si aprono le botteghe dei mercanti di stoffe. Perdendoci tra labirinti di bazar, riusciamo a trovare il famoso Suq dei tintori, un’esplosione di colori tra foulard esposti pronti alla vendita e matasse di lana lasciate a seccare al sole, mentre uomini che lavorano alla maniera tradizionale affondano le braccia nude in marmitte nere piene di tinta sintetica per fissare il colore ai tessuti.
Finito il giro esplorativo della città, ci addentriamo nella parte storica visitando prima le Tombe Sadiane e poi Palazzo el-Badi. Protagonisti indiscussi di questi due siti sono il re sadiano Ahmed el-Mansour (1578-1603) e il re alawita Moulay Ismail (1672-1727) Le Tombe Sadiane sono così chiamate dal nome della dinastia sadiana di cui faceva parte Ahmed el-Mansour che le fece costruire per raccogliere le spoglie della madre. La costruzione consta di 2 mausolei, 66 tombe più quelle disperse nel giardino appartenenti a servitori o personaggi della corte. La parte più nota è la stanza delle dodici colonne all’interno del Mausoleo di Ahmed el Mansour, una sala a pianta quadrata retta da colonne di marmo di Carrara in cui è contenuta anche la tomba del sultano. Con la morte di Ahmed el Mansour, il conseguente declino della dinastia sadiana e infine l’avvento della dinastia alawita (la stessa che regna sul Marocco ancora oggi), il re alawita Moulay Ismail fece murare l’ingresso ai sepolcri per impedirvi l’accesso, tanto che la necropoli venne alla luce solo nel 1917. Palazzo el-Badi, letteralmente il Palazzo Incomparabile, venne fatto costruire da Ahmed el-Mansour alla fine del XVI per ospitarvi feste e udienze solenni. Era considerato uno dei capolavori del mondo islamico con oltre 360 stanze decorate con marmo italiano e coperture di oro zecchino. Con l’avvento al potere degli alawiti, Moulay Ismail fece smantellare l’imponente struttura per erigere i colossali edifici della città imperiale di Meknes.
Per concludere questa giornata piovosa, ci andiamo a rilassare con un Hammam. Uomini da una parte, noi donne dall’altra. Ci sono step molto precisi da seguire per questo rituale che nel mondo musulmano aveva come scopo originario la purificazione dello spirito. Per prima cosa ci spogliamo ed entriamo nel tepidarium, una sala calda e leggermente umida, con panche di marmo riscaldate e lavabo da cui sgorga acqua calda. Le donne marocchine che ci curano sono senza velo, in pantaloncini e canottiera e si muovono con estrema disinvoltura, un’immagine fuori clichè per noi occidentali soliti a stereotipare la donna di questa cultura come chiusa quasi inibita. E’una sensazione strana ma piacevole quella che proviamo, perché conosciamo una sfaccettatura più intima della cultura femminile marocchina. Le addette del centro ci lavano, ci insaponano, ci risciacquano per poi accompagnarci al calidarium, una stanza vaporizzata con una temperatura media di 45° per favorire la sudorazione e quindi l’eliminazione delle tossine. Cinque minuti di relax e si torna al tepidarium per il gommage, ovvero lo scrub, eseguito energicamente con il guanto ruvido di kassa. Terminiamo con il lavaggio del corpo e alcune ne approfittano per farsi fare un massaggio vigoroso a base di olio di mandorla.
La giornata è stata ricca e intensa, alcune cose sono rimaste fuori: la Moschea Ben Youssef, Palazzo della Bahia, i giardini Majorelle, di sicuro un ottimo motivo per ritornare nuovamente.
Sveglia molto presto. Alle 7 siamo già in viaggio. C’è una decisione molto importante da prendere: passare o meno il Passo di Tizi-n-Tichka. E’ il passo montano più alto del Marocco: con i suoi 2260 m e le sue strade strette a gomito collega Marrakech a Ouarzazate, la porta del deserto del Sahara, attraverso i monti dell’Alto Atlante. Jafid, il nostro autista, chiama un suo contatto: è nevicato durante la notte e causa ghiaccio il passo aprirà intorno alle 12, con il rischio di incolonnamenti causati dai camion che hanno trascorso la notte lì. Decidiamo di optare per la seconda opzione aggirando il valico e passando per Taroudant. Sono circa 350 km in più, ma la diversità dei paesaggi che si susseguono ci sorprendono allietando il nostro lungo viaggio.
Mi siedo vicino all’autista. Otto ore di viaggio possono annoiare, ma passate vicino ad uno che è nato, cresciuto e vissuto in Marocco e che fa questo lavoro da 30 anni avendo passato in rassegna ogni centimetro quadro di questo paese possono rivelarsi molto interessanti e costruttive.
La prima parte del tragitto va da Marrakech a Taroudant e lo facciamo in autostrada. Da qui scorgiamo sullo sfondo i monti dell’Alto Atlante innevati, mentre ai lati si susseguono coltivazioni di arance, granoturco, olio e argan. Taroudant è una città mercato berbera, fuori dalle rotte turistiche. I suoi colori, la vivace economia, la sua posizione geografica (60 km dalle rive di Agadir), l’ha resa la meta prediletta per molti capi di stato francesi che sono soliti trascorrere le loro vacanze qui. In particolare Jacques Chirac che ogni anno è ospite del re del Marocco Mohamed VI (e prima di lui re Hassan II) al Palazzo La Gazelle d’Or, la residenza più lussuosa di tutto il Marocco.
La seconda parte va da Taroudant ad Ait Ben Haddou. Il paesaggio che incontriamo cambia improvvisamente passando attraverso strade interne sterrate. In particolare due villaggi meritano attenzione: Taliouine e Tazenakht. Taliouine rappresenta il presidio storico dello zafferano. La coltivazione avviene sull’altipiano Souktana tra i 1300 e i 1500 metri e tutto il processo è svolto rigorosamente a mano. Ci sono undici produttori riuniti nella Coopérative Agricole de Taliouine e sostenuti dall’Ong marocchina Migrations et Développement che lavorano piccoli appezzamenti. Il momento della raccolta è tra ottobre e novembre: insieme alle loro famiglie recuperano i fiori all’alba quando sono ancora chiusi e continuano il processo di lavorazione nei cortili delle loro case separandone i preziosi pistilli. In quest’occasione si possono acquistare anche al Festival du Safran che si svolge a Taliouine nel mese di ottobre. Tazenakht è famosa in tutto il Marocco per le cooperative di tessitrici di tappeti. Caratteristici della zona sono in particolare i tappeti tradizionali della tribù berbera Ozguita a trama arancione e marrone e colorati con pigmenti naturali (zafferano, henné o menta).
Finalmente, dopo ore di viaggio, arriviamo ad Ait Ben Haddou, uno degli ksar (città fortificata) meglio conservati del Marocco. E’protetta dall’UNESCO come Patrimonio dell’Umanità. Al suo interno sono rimaste poche persone: qualche negozietto di souvenir accomodato tra le mura in rovina, un signore di 80 anni che dopo aver nutrito il suo asinello rientra piano piano nella casa di pietra. Non c’è elettricità e al calar della sera solo le candele restano ad illuminarla. Ci si chiederebbe il motivo di tanta fama internazionale. Le sue mura a strapiombo, le torri merlate e la sua ubicazione quasi fuori dalla realtà l’hanno resa il set cinematografico ideale per ben 27 film, tra cui Lawrence d’Arabia, il Gladiatore, Game of Thrones.
Riprendiamo il cammino in direzione Skoura. Facciamo una breve sosta a Ouarzazate, che letteralmente significa nessun problema, probabilmente per l’ordine e il silenzio che la differenziano dagli altri centri urbani del Marocco. Fondata nel 1928 dai francesi come base militare e amministrativa, si è poi sviluppata come centro di produzione cinematografica, diventando la Hollywood marocchina. Un breve scatto fotografico alle mura della kasba di Tourit e salutiamo questa città, conosciuta anche come la porta del deserto, perché preludio alle distese delle dune Sahariane, la meta che ci attenderà il giorno seguente e che già cominciamo a pregustare.
Arriviamo in tarda serata alla Kasbah Amridil di Skoura, dove ad attenderci c’è Reda, il proprietario della kasbah, che ci accoglie con tè di benvenuto e datteri e per cena ci prepara uno dei piatti tipici del Marocco: tajine di pollo e verdure. Il tajine è un piatto in terracotta che si compone di due parti: quella inferiore che serve per la cottura della carne e quella superiore di forma conica che funge da coperchio. Di solito le verdure (patate, carote, pomodori, zucchine, peperoni) sono preparate a parte e solo nel momento di servire vendono disposte a raggiera sopra la carne.
Iniziamo la giornata molto presto con Reda che ci accompagna alla scoperta della Kasbah Amridil nell’Oasi di Skoura. Si tratta di una vera e propria fortezza del XVII secolo in cui ogni oggetto, ogni particolare architettonico assume un senso nella vita quotidiana tradizionale. Iniziamo con la spiegazione della terminologia kasbah, dice Reda: “la casa è una kasbah ma la kasbah non è una casa, è come un’equazione matematica!”. Nel senso che la struttura architettonica è tale da metterla in sicurezza nel caso di attacco da parte dei nemici. Fu costruita da arabi nomadi dell’Arabia Saudita con lo scopo di insegnare la religione coranica alla gente. Non era quindi una semplice kasbah ma una Madrasa, una scuola coranica. All’interno c’è un giardino, o per dirla in arabo un riad. Questa parola significa: zona ricca, piccolo paradiso e al centro è sempre posizionata una fontana. (La capitale dell’Arabia Saudita si chiama infatti Ryiad). Nel giardino ci sono 5 tipologie di piante: il fico, il melograno, il dattero, l’uva, l’albicocca. Non è un caso, il 5 è considerato un numero sacro, strettamente legato alla religione musulmana. Alziamo lo sguardo e ci guardiamo intorno: 5 sono le torri che si stagliano dalla kasbah. Entriamo in una stanza della kasbah, quello che colpisce sono le scale e le porte: i gradini non sono regolari, uno è più alto, uno più basso. Non era uno sbaglio, ma una prevenzione per mettere in difficoltà i nemici in caso di assalto. Mentre le porte sono così basse che occorre inchinarsi per entrare, questo da una parte era un simbolo di rispetto, ma dall’altra era sempre una forma di ostacolo contro il nemico. Guardiamo il soffitto: anche questo costruito con 5 strati di materiale: legno resistente di tamerice, palma o cedro, 5 strati di canne per dare flessibilità e resistenza, foglie di palma per la permeabilità dell’acqua, paglia e fango per mantenere il calore. Ovviamente ci sono 5 finestre in ogni stanza. Entriamo in una delle 5 cucine ed ammiriamo i vari utensili, tra cui il tandoori, il forno tradizionale in pietra in cui veniva cotto il pane (chapati). In estate si usava solo la grande cucina così da limitare il calore e mantenere fresca il resto della casa. Mentre in inverno gli animali venivano rinchiusi nella stalla a pianoterra al fine di riscaldare le camere ai piani superiori.
Alle 8,30 riprendiamo la strada per dirigerci verso le Gole del Todra. Passiamo attraverso la Valle delle Rose, così chiamata per indicare la porzione di Valle del Dadès coltivata a rose. Non ci sono veri e propri campi, ma oltre 4000km di siepi che costeggiano la strada che da Skoura va verso Kelaa des Mgouna fino a Tamaoult. Ciò che lascia increduli è il fatto che questo particolare tipo di fiore chiamato Rose de Mai (rosa di maggio) si sia acclimata bene a circa 1500 m di altezza tra le nevi dell’Atlante e il sole del Sahara diventando una fonte preziosa per l’economia locale. La raccolta va da metà aprile a metà maggio quando le donne al mattino molto presto raccolgono i petali, li fanno essiccare nei cortili delle kasbe, prima di essere caricati sui camion per essere trasportati alle distillerie di El Kelaa per la seguente produzione di saponi, creme, profumi e acqua di rose. In un paio d’ore siamo alle Gole del Todra, uno dei canyon più ammirati al mondo scavato dal fiume Todra nella parte orientale delle montagne dell’Alto Atlante nel corso dei secoli. Le alte pareti a strapiombo di roccia grigia e rosa con speroni alti fino a 300 metri nonché la natura calcarea che le rendono estremamente dure e resistenti le hanno fatte divenire meta prediletta dei climbers di tutti i paesi.
Riprendiamo il viaggio e alle 13,30 arriviamo ad Erfoud dove ci aspettano due jeep pronte a condurci tra le dune del Sahara. Qui incontriamo Ben, la nostra guida, sarà lui per le prossime 24 ore ad introdurci in questo scenario recondito, popolato dai nomadi e percepito da noi occidentali come qualcosa di affascinante, quasi mistico. Lasciamo la strada asfaltata e iniziamo ad addentrarci verso una distesa mista di sabbia e ghiaia fermandoci nella tenda di una signora berbera che ci offre del tè. C’è molta curiosità da parte nostra quanta riservatezza da parte della signora che Ben ci dice di non fissare negli occhi per una questione di rispetto. Nulla è lasciato al caso, il tè di benvenuto è un vero e proprio rituale e come tale il modo di servirlo deve rispettare tre criteri: raggiungere i 2/3 del bicchiere; lasciare un po’ di schiuma sulla parte superiore; essere versato dall’alto al basso mantenendo una certa distanza dal recipiente.
Ci dirigiamo verso Merzouga, un villaggio situato in un’oasi nella provincia di al-Rashidiyya dove ad attenderci ci sono i nostri dromedari e i berberi del deserto a guidarli. Siamo nel mezzo dell’Erg Chebbi, una catena di dune sabbiose lunga 27 km, con montagne di sabbia dorata che in alcuni punti raggiungono i 150 m di altezza. Ci lasciamo cullare dal dolce dondolare dei dromedari e sul calar della sera raggiungiamo le tende in cui passeremo la notte. L’atmosfera è unica: sotto i piedi la sabbia fresca, sopra di noi le stelle sembrano staccarsi per avvolgerci nel manto oscuro della notte. La cena è pronta: tajine di pollo e verdure (il classico) e il piatto della serata: la pizza berbera! Si tratta di una focaccia farcita con erbette e carne di capra. La consistenza è dura e il sapore è forte, di sicuro un piatto che rappresenta bene i popoli di questa terra. La serata non è ancora finita, dopo esserci ricaricati ci lanciamo in pazze danze accompagnati al ritmo dei tamburi alternando musiche arabeggianti a canti italiani.






Riprendiamo il viaggio. Sarà una giornata lunga, da Merzouga dobbiamo raggiungere Fes. Riprendiamo la strada che ci porta a Erfoud e a circa 20 km da Er-Rachidia ci fermiamo alla sorgente blu di Meski. E’ un’oasi in mezzo al deserto, caratterizzata da una sorgente d’ acqua calda, alimentata dal fiume Ziz, che sgorga da una parete rocciosa favorendo la crescita del palmeto circostante. La sorgente è simbolo di fertilità: la leggenda narra che le donne adornate di amuleti e conchiglie, al tramonto vi si rechino nella speranza di rimanere incinta.
Passata Er-Rachidia, ci dirigiamo verso nord fermandoci ad ammirare le Gole dello Ziz. Come per le Gole del Todra, anche in questo caso si tratta di un Canyon scavato dal fiume Ziz nella catena dell’Atlante. Ben ci spiega che Ziz in arabo significa gazzella e se un uomo vuole fare un complimento ad una donna da queste parti deve chiamarla gazzella. Le gole sono delimitate da due porte artificiali: al sud dalla diga di Hassan Addakil e al nord dal Tunnel del Legionario, sotto il quale passeremo, costruito dall’impero coloniale francese nel 1930 per creare un passaggio con la Valle dello Ziz.
Salutiamo Ben e proseguiamo in direzione di Fes. Attraversiamo la città di Midelt, famosa per i suoi meleti che occupano oltre 7.456 ettari con una produzione media annuale di 190.000 tonnellate di mele, il 31% della produzione nazionale. Da qui, in poco tempo, il paesaggio cambia repentinamente. Ci lasciamo alle spalle il giallo dorato del deserto e il verde rigoglioso delle palme dello Ziz per addentrarci nel bianco neve della Foresta dei Cedri…non è uno scherzo, è veramente neve! Due sono le cose che ci colpiscono: il paesaggio alpino che ci si prospetta e che ci fa quasi dimenticare di essere in Marocco e le simpatiche scimmie che si aggirano ai lati della strada lasciandosi fotografare dai viaggiatori incuriositi. Scendiamo per qualche foto, ma le temperature sono basse (5-6 gradi) e ripartiamo subito.
Prima di arrivare a destinazione ci fermiamo per una breve sosta a Ifrane. E’una località turistica creata dai francesi nel 1929 e si trova a 1650 metri di altezza sui Monti del Medio Atlante. I numerosi chalet, alberghi di lusso, nonché la presenza di piste da sci le hanno valso il nome di Svizzera marocchina. Occorre arrivare finalmente a Fes per renderci conto che siamo ancora in Marocco e che la mattina seguente ci immergeremo in uno dei centri economici più attivi e caratteristici del paese.




Questa mattina visitiamo Fes. Ad accompagnarci c’è Loukili, che è nato e cresciuto qui. Sarebbe quasi impossibile per uno straniero orientarsi a Fes senza il rischio di perdersi, di essere derubato e quindi di non godersi la vera anima di questa città la cui medina è la più estesa del Marocco contando: 9000 strade, 324 quartieri, 131 vicoli ciechi. Senza dimenticare che gli unici nomi che si incontrano sono quelli dei quartieri, solo in pochissimi casi le strade sono denominate.
Iniziamo la visita da Bab el-Guissa, al nord della città, entrando nei Fondouk. Si tratta degli antichi caravanserragli usati come luoghi di sosta delle carovane che attraversavano il deserto per vendere la merce in città, con stalle e magazzini al piano terra per il deposito momentaneo dei prodotti e le camere al primo piano per dormire. Attualmente i fondouk sono ancora in uso fungendo da dormitorio per i commercianti che arrivano il venerdì con le loro mercanzie per dedicarsi all’attività commerciale di sabato e domenica. Facciamo una breve sosta anche nei Fondouk per gli animali, ovvero dormitori per asini, che ad oggi rappresentano ancora il mezzo principale per gli spostamenti. Il carretto è arrivato da poco, è la Ferrari marocchina, a detta di Loukili.
Ci dirigiamo al famoso quartiere dei conciatori Chouara in cui avviene la lavorazione delle pelli. Quello che colpisce fin da subito è il forte odore di escrementi. Per poter avere una panoramica completa delle varie fasi di lavorazione saliamo nella terrazza di uno dei laboratori circostanti, precisamente Chouara Tannery da cui si prospetta una distesa di conche in pietra rotonde e quadrate con uomini a piedi nudi che vi si immergono per far fissare il colore ai tessuti. L’odore intenso è dato dal fatto che nella prima fase di lavorazione il tessuto resta immerso in escrementi di piccione per una settimana al fine di ammorbidire le fibre e prepararle ad assorbire il colore che rappresenta la fase successiva.
Proseguiamo verso il quartiere degli Andalusi, così chiamato perché in origine era abitato da profughi musulmani della Spagna e ci fermiamo ad ammirare esternamente la Moschea degli Andalusi. Con circa 8000 i fedeli che ogni anno si recano a pregare qui, è la seconda più grande di Fes, costruita nel IX secolo da Meryem, la sorella di Fatima al-Fihria, fondatrice della Moschea el-Karaouin che raggiungeremo subito dopo.
Prendiamo Rue des Teinturiers, la stretta via dei tintori con botteghe in cui viene tinta la lana immergendo le matasse in acqua calda e aceto mischiati a pigmenti naturali come menta, zafferano, indaco, papavero e antimonio.
Risaliamo la strada fino ad arrivare a Place es-Seffarin che si trova nel quartiere Karaouin. E’ la piazza più grande e movimentata della città, il cuore economico della medina. Ciò che cattura subito l’attenzione è il rumore continuo che fanno gli artigiani delle botteghe disposte a cerchio nel modellare il rame con il martello. Non è un caso che seffarin in arabo significhi rumore! La piazza è un vero e proprio spaccato di vita quotidiana da cui trapela tutta l’anima commerciale dei marocchini, che agguantano i potenziali compratori, stranieri in primis, e li avvolgono in sproloqui senza fine fino a che la vittima non cede e compera il bene offerto. Come disse lo scrittore Elias Canetti che soggiornò in Marocco nel 1854 “E’ una pubblica attività, è un fare che esibisce sè stesso insieme all’oggetto finito. In una società che tiene così tanto nascosto di sé, che agli stranieri cela gelosamente l’interno delle sue case, la figura e il volto delle sue donne e perfino i suoi templi, questa intensa ostentazione del produrre e del vendere è doppiamente affascinante”.
Vicino alla piazza c’è la Medersa es-Seffarin, la unica ancora in uso oggi e le cui celle fungono da dormitori per gli studenti dell’università. Poco distante sorge la Moschea el-Karaouin, la più grande di Fes e la più antica del Marocco. Venne costruita come modesto oratorio nell’857 da Fatima, originaria di Kairouan in Tunisia e prese il nome del quartiere abitato dai profughi di questa città.
Continuiamo in direzione nord fino a raggiungere Place en-Nejjarin, la piazza più bella di Fes caratterizzata da una fontana rivestita di piastrelle di maiolica e una tettoia di cedro a tegole verdi. Ci fermiamo infine in un’erboristeria del Fondouk el-Ihoud in cui la mamma del proprietario, seduta sul pavimento, estrae l’olio di argan alla vecchia maniera. Una volta che l’argan arriva dai campi si sbuccia, si toglie il nocciolo e si passa in una sorta di pestello in bronzo che rilascia una pasta. Quest’ultima viene diluita con acqua calda, si indurisce e rilascia l’olio.
Salutiamo Loukili e riprendiamo il viaggio per andare a visitare le rovine della città romana di Volubilis. E’ il principale sito archeologico del Marocco, esteso per 40 ettari su un altopiano 25 km a sud di Meknes ed è stato dichiarato Patrimonio dell’Umanità dell’Unesco nel 1991. La città fu conquistata dai romani nel 42d.C. diventando residenza dei procuratori che governavano la regione su mandato dell’imperatore. Raggiunse il massimo splendore nel II-III secolo d.C. mentre il declino iniziò sul finire del III d.C. quando rimase fuori dai confini romani imposti da Diocleziano. I lavori di scavo iniziarono verso la fine del 1800 e ad oggi i resti che vediamo rappresentano meno della metà della città antica. Si può ammirare la ricostruzione delle colonne della Basilica come anche l’Arco di Trionfo che si ergeva imponente di fronte al Decumanus Maximus, via principale della città. Tuttavia la connotazione principale è data dai numerosi mosaici che servivano ad abbellire i quartieri residenziali.
Sono le 17,30 e i custodi del sito ci invitano ad uscire per la chiusura. Ci godiamo ancora per qualche minuto la vista del tramonto dall’arco di trionfo che domina dall’alto la vallata e siamo pronti per raggiungere Meknes dove passeremo la notte.






Questa mattina andiamo alla scoperta di Meknes insieme a Bouchra, la nostra guida. E’ la più recente delle quattro città imperiali, dopo Fes, Marrakech e Rabat. Fu fondata dalla tribù berbera Miknasa da cui prese il nome e raggiunse il massimo splendore sotto il regno dell’alawita Moulay Ismail ibn Sharif che governò per 55 anni (1672-1727) e ne fece la capitale che tale rimase fino al 1912 quando il titolo passò a Fes. Per avere un’idea di chi fosse questo personaggio, possiamo paragonarlo al Re Sole, Luigi XIV re di Francia, che visse nello stesso periodo. Salì al potere a soli 27 anni e per i successivi 55 riunì il paese in un unico regno sconfiggendo le tribù ribelli e facendo costruire mura, bastioni, porte monumentali, granai e scuderie. Fu uno dei pochi sultani che riuscì a mantenere il controllo totale del Marocco e questo anche grazie all’esercito che contava un ventesimo della popolazione tra cui anche la temuta Guardia Nera, formata 16.000 schiavi dell’Africa Sub-Sahariana a cui venivano concesse donne nei momenti di riposo e i cui figli in futuro servivano a rimpinguare le file dell’esercito, così che al termine del suo regno questo numero era cresciuto 10 volte tanto. Era conosciuto per i suoi eccessi. Mozzava teste di servitori che non lo accontentavano, persone che non lavoravano abbastanza e chiunque gli si opponesse arrivando a contare circa 30.000 omicidi. Aveva 500 mogli, oltre 800 figli e per di più chiese in sposa una delle figlie di Luigi XIV, Maria Anna di Borbone, anche se il re negò il consenso.
Cominciamo la visita con un giro in pulmino per ammirare la triplice cinta muraria attorno alla città lunga 45 km e ci fermiamo nel palazzo reale fuori dalla medina. Gli spazi aperti, i parchi, il bacino dell’Agdal nutrito dalle acque della montagna gli valsero il nome di Versailles marocchina. Moulay Ismail si ispirò infatti alla residenza del re di Francia quando progettò i lavori per costruire la propria.
Per prima cosa visitiamo il granaio del palazzo, che ai tempi di Moulay Ismail era soprannominato il granaio del Marocco. Le porte sono a forma di ferro di cavallo che è simbolo di fortuna. La struttura venne progettata in maniera tale da mantenere costante la temperatura. Le mura sono infatti alte 12 metri e larghe 4. Sotto passa l’acqua che dava fresco e contro l’umidità il pavimento era rivestito in terra battuta. Le travi del soffitto erano fatte di bambù per non far filtrare l’acqua piovana. Adiacente al granaio visitiamo l’enorme scuderia che il re aveva fatto costruire per poter ospitare in libertà 12.000 cavalli. Le colonne sono sempre a forma di arco, mentre il tetto è caduto perché fu scelta una struttura piana e non arcuata.
Lasciamo la città imperiale alle spalle ammirando la porta d’ingresso più elegante: Bab el-Mansour caratterizzata da particolari decorazioni per la maggior parte in verde, il colore della città e da colonne rivestite di marmo di Carrara. La porta si affaccia su Place el-Hedim, in cui Moulay Ismail faceva eseguire condanne pubbliche. Entriamo nella medina, attraversiamo il mercato alimentare dove si susseguono banchi che espongono prodotti locali come olive e datteri. Le attività economiche principali di Meknes sono infatti l’agricoltura e l’artigianato basato soprattutto su damaschinato e ricamo.
Bouchra ci porta a visitare la Medersa Bou-lnania, la scuola coranica di origine merinide aperta nel 1300. Si presenta con la classica pianta con cortile centrale circondato su tre lati da una galleria sopra la quale si trovavano le stanze degli studenti. Sfruttiamo la quiete di questo luogo sacro per parlare con Bouchra sulla condizione femminile in Marocco, un po’ per curiosità, un po’ per sfatare i pregiudizi sulla cultura musulmana che nell’immaginario occidentale concepisce la donna coperta dalla testa ai piedi, chiusa in casa e sottomessa all’uomo. Il dubbio viene vedendo la nostra guida neanche quarantenne che, a parte il velo, è vestita con jeans, scarpe da ginnastica e zainetto sulle spalle e si muove con disinvoltura tra le vie cittadine parlando con gli uomini del posto in arabo e con noi in perfetto italiano. Sicuramente c’è da distinguere tra donne della campagna e della città. Nei villaggi più remoti l’usanza dei matrimoni combinati è più frequente e le condizioni di vita più dure e faticose rendono il sesso femminile dipendente dal marito. Nelle città c’è un’inversione di rotta irreversibile iniziata ormai da 40 anni che vede entrambi i sessi sullo stesso piano. Le donne studiano, lavorano, gestiscono la casa e prendono decisioni importanti per la famiglia insieme agli uomini. Passi avanti sono stati fatti dal governo per garantire l’istruzione a tutti fornendo gratuitamente libri, quaderni e occorrente vario nelle scuole e finanziando gli studi universitari agli studenti più meritevoli.
Dopo questa breve digressione ripartiamo in direzione dell’ultima destinazione di questo viaggio: Rabat. Non abbiamo un cicero, non era in programma questa città, ma a seguito del cambio itinerario dovuto alle condizioni climatiche riusciamo a visitarla arrangiandoci con le nostre guide cartacee. Iniziamo con la necropoli di Chellah. Era un sito romano fondato nel 40 d.C. e di cui sono rimasti i resti visibili del Decumano Massimo, del Foro, della Curia, del Campidoglio e di una fontana monumentale. Rimase poi in stato abbandono fino a quando venne adibito a necropoli in epoca merinide (1215-1465) custodendo molte tombe tra cui quelle di santi e membri della famiglia reale. Quello che colpisce è lo scenario di pace di questo insediamento adagiato su una bassa collina coperta di vegetazione selvatica. Ci fermiamo ad ammirare la torre di Hassan e i resti della Moschea che Yacoub el-Mansour iniziò a edificare nel 1195 come simbolo della potenza almohade. I lavori furono abbandonati poco dopo la sua morte. Di fronte alla Torre si trova il Mausoleo di Mohammed V fatto edificare tra il 1961 e il 1971. All’interno sono custodite le tombe dei monarchi: Mohammed V (1909-1961) e del figlio Hassan II (1929-1999). A fianco un imam a gambe incrociate recita in continuazione preghiere. Il tempo stringe e il sole sta tramontando, facciamo un breve giro per la medina, i cui scorci fatti da case dipinte in bianco e blu a picco sul mare ricordano la Grecia. Essendo venerdì, giorno di festa per i musulmani, la maggior parte di negozi e botteghe è chiuso quindi vaghiamo un po’ per la città godendo della vista panoramica sull’Atlantico.
Infine riprendiamo la strada per Casablanca. Domani mattina avremo l’aereo di ritorno per l’Italia. E’ stata una settimana intensa e abbiamo avuto l’opportunità di calarci letteralmente nella storia e nella cultura di questo popolo, capendo senza giudicando i loro usi e costumi, il loro modo di comportarsi verso lo straniero, le contraddizioni insite che lo connotano. In fondo è questo il senso del viaggio. Resta ancora molto da scoprire del Marocco: altre città con i suoi abitanti, nuove storie da raccontare. Ci sarà tempo per tornare. Intanto in un silenzio malinconico ripercorriamo con la mente i momenti vissuti, sapendo che una nuova esperienza ha arricchito il nostro bagaglio culturale e soprattutto umano.


