
Il viaggio in Basilicata è stata parte integrante di un tour di due settimane, iniziato dal Lazio per poi risalire la parte opposta della penisola lungo la Puglia adriatica. E’ durato cinque giorni ed ho visitato Maratea, il Pollino, Castelmezzano, Pietrapertosa e Matera. Ci sono stata ad agosto, personalmente è il periodo che meno preferisco per viaggiare a causa del troppo caldo e del sovraffollamento dei turisti, ma quest’anno le mie ferie sono cadute proprio in questo periodo e mi sono organizzata di conseguenza…anche logisticamente parlando. A Maratea ho soggiornato in un camping mentre nelle aree più interne sono riuscita a trovare dei B&B poco distanti e a buon prezzo. Il racconto che seguirà, ripercorrerà queste tappe, le attività svolte, ma anche pensieri e descrizioni che ho raccolto in momenti di quiete e di osservazione del territorio circostante.
GIORNO 1,2 - Maratea
GIORNO 1 – MARATEA (Centro di Maratea, Lido Cala Jannita/Spiaggia Nera)
E’ sera, sto scrivendo in una tenda al lume di una lampadina da campeggio. Sapendo che le mie ferie cadevano in un periodo poco felice, agosto, e avendo organizzato tutto il viaggio in Basilicata e Puglia il giorno precedente della partenza, l’idea di bivaccare all’aperto mi attirava parecchio. Così mi sono comprata la tenda 2 seconds easy fresh&black della Quechua ed eccomi qua a scrivere nel Villaggio Camping Maratea a Castrocucco, nella parte meridionale di Maratea, con l’eco di bambini che ballano al ritmo della musica dei cartoni animati della generazione anni ’80. Sono arrivata a Maratea verso le 13.00, questo mattina ero a visitare Paestum in Campania, e dopo la visita al sito archeologico ho raggiunto la Basilicata. Per prima cosa mi sono recata al punto informazioni al centro della città per raccogliere materiale utile ad orientarmi nei giorni successivi. Mi sono fermata in una chiosco per una pausa pranzo veloce, panino con caciocavallo silano, formaggio tipico delle regioni del sud e prodotto nell’Altopiano della Sila e ho proseguito il giro tra i vicoli della cittadina, anche se nel primo pomeriggio il centro è svuotato per la fuga dei turisti verso il mare. Mi sono diretta a Cala Jannita o Spiaggia Nera, così chiamata per la colorazione della sabbia rimanendo lì dalle 15 alle 19. Varie sono le attività che si possono fare nei pressi di questa località tra cui le escursioni in kayak e la visita alle Grotta delle Meraviglie.




GIORNO 2 – MARATEA (Salita al Cristo Redentore, Calaficarra)
Ed è questo il momento che preferisco. Il mare al tramonto. Le persone iniziano ad andarsene , il sole comincia la sua lenta discesa verso occidente. I bambini giocano nell’acqua approfittando degli ultimi raggi di sole. Qualcuno legge sdraiato all’ombra di una roccia. Mi trovo a Calaficarra, una caletta bellissima vicino Maratea. E’ incastonata tra gli scogli, l’acqua è limpida e nonostante ci troviamo in pieno agosto non c’è affollamento e si riesce a godere della tranquillità che questo luogo trasmette.
Questa mattina mi sono svegliata verso le 7.00 e sono andata a fare colazione in un baretto al centro di Maratea …bocconotto con ricotta e pera…bontà infinita! Dopo di che ho iniziato la prima tappa della giornata, la salita al Cristo Redentore, si tratta della statua di Gesù posta in cima al Monte San Biagio realizzata tra il 1963 e il 1965 dall’artista fiorentino Bruno Innocenti. Ci sono diversi modi per raggiungerlo, in macchina salendo per i tornanti della strada provinciale, tramite una via ferrata o un percorso di trekking. Ho scelto quest’ultimo, il percorso parte da Piazza Buraglia al centro di Maratea e si sviluppa lungo un percorso ad anello della durata di circa 3 ore e mezzo. Lungo la salita, che per un tratto si snoda all’ombra del fitto bosco di lecci e carpini, sono previste sette soste, tutte segnalate da cartelloni che raccontano la storia e le leggende di questi antichi percorsi che per secoli hanno collegato l’antico borgo del Castello all’attuale centro storico di Maratea.
Finito il giro mi sono recata a Calaficarra, in questa luna quasi deserta incastonata nel Golfo di Policastro. Ho passato qui tutto il pomeriggio alternando bagni a momenti di relax e di organizzazione del viaggio. Domani farò un’escursione sul Pollino. Intanto continuo a godermi gli ultimi bagliori di questo sole all’ombra di uno scoglio. Spesso mi rendo conto di non vivere il presente. Presa come sono a pianificare attività e cose varie dimentico di fermarmi, respirare profondamente e godermi l’attimo. Ed io, in questo momento sto facendo proprio questo. Sono seduta e mi sto godendo l’attimo senza pensare a nulla. Non è facile, almeno non lo è per me, costantemente intenta a programmare con il dubbio ogni volta che mi manchi un pezzo. Però arriva un momento, di solito la sera, quando mi fermo. E anche se intorno a me tutto scorre, io trovo quel posticino, quella dimensione che è solo mia. Ci sono voluti anni per raggiungere questa consapevolezza, per donarmi questo attimo di serenità quotidiana in cui ci sono io e il mio mondo interiore, i miei sogni, le mie idee. Continuo a guardare un altro po’ il mare in attesa che arrivi domani con nuove avventure nel mio viaggio in Basilicata.











GIORNO 3 - Parco Nazionale del Pollino
PARCO NAZIONALE DEL POLLINO
Oggi mi sono unita ad un trekking guidato alla scoperta del Parco Nazionale del Pollino, il parco più grande d’Italia, a cavallo tra due regioni, la Basilicata e la Calabria, in mezzo a due mari, il Tirreno e lo Ionio e tra 3 province, Cosenza, Potenza e Matera. Una escursione classica nel cuore del Parco alla scoperta di luoghi e ambienti affascinanti come la Grande Porta del Pollino e il Giardino degli Dei. Siamo partiti da Colle Impiso (1.560 m), per percorrere fin da subito il sentiero dei carbonai e arrivare ai Piani di Vacquarro. Da qui in poi siamo saliti gradualmente verso Piano Toscano a 1800 m per godere del paesaggio superbo circondati dalle più alte cime del Parco. Abbiamo risalito i piani del Pollino allo scoperto per arrivare alla Grande Porta del Pollino a 1950 m di quota per la visita ai resti del Pino Loricato conosciuto come “Zi Peppe”. Infine ci siamo diretti verso l’affascinante bosco di monumentali pini loricati chiamato Giardino degli Dei a circa 2000 m di quota.
La storia che ha portato all’apertura del parco è stata travagliata ed è durata molti anni, tanto che gli sono stati attribuiti diverse soprannomi tra cui parco di carta per sottolineare l’impasse decisionale nell’inaugurazione dello stesso. A fine anni ‘70 è nato il primo nucleo del parco, nella parte lucana, ma si arriva al Novembre del 1993 per vedere l’istituzione del Parco Nazionale del Pollino comprendente sia Basilicata che Calabria, come lo conosciamo noi oggi.
Le 5 vette più alte sono:
- Serra Dolcedorme (cima più alta 2267 metri)
- Monte Pollino (2248 metri – seconda vetta che da’ il nome al parco. Ci sono due versioni sull’etimologia del Monte Pollino. La prima vede colonie greche che abitavano nei pressi della montagna e si recavano qui anche per raccogliere erbe officinali. Avrebbero così dedicato la montagna al Dio Apollo in quanto anche Dio della Arti Mediche, Monte di Apollo e quindi Monte Pollino. Tuttavia, la versione a cui sono più legati i lucani deriva dal toponimo latino PULLUS, piccolo di animale che nel dialetto locale è diventato. “puddino” Anticamente era solito portare i cuccioli in questa montagna tanto che da puddino il termine italianizzato è diventato Pollino )
- Serra del Prete (2181 metri)
- Serra delle Ciavole (2127 metri, le ciavole nel dialetto lucano sono le cornacchie, le taccole. Siccome c’è una grande presenza di taccole, il nome gli è stato attribuito per questo.)
- Serra Crispo (2054 metri, dove c’è il giardino degli dei con un grosso numero di pini loricati sia vivi che morti)
Passando per il sentiero dei carbonai ci siamo addentrati nella faggeta. Nonostante il faggio sia una specie molto “egoista”, non permettendo la nascita di altre specie, qua come in Toscana l’abete riesce a crescere in mezzo alla faggeta. Il faggio solitamente arriva a 1800 metri, ma sul Pollino supera questo limite perché con la presenza dei due mari il clima è più mite. Oltre i 2000 metri si trovano i pini loricati, alberi molto tenaci che riescono a trovare la vita anche all’interno delle rocce.
Arrivati a quota 1800 metri ci siamo fermati ad osservare due tipologie di segnaletica bianca e rossa: IPV e SI. IPV significa Itinerari di Particolare Valenza, si tratta di 8 percorsi tracciati su carta ufficiale che tagliano il parco in più parti permettendo agli escursionisti di raggiungere le mete più ambite. SI è il Sentiero Italia, si tratta del sentiero più lungo al mondo, quasi 7000km che attraversano la nostra penisola partendo dalla Sardegna, passando per la Sicilia, risalendo l’Italia da sud a nord. Un tratto passa anche nel parco nazionale del Pollino collegando Morano Calabro a Madonna di Pollino. Sentiero Italia è un’idea progettuale di un gruppo appassionato di esploratori che negli anni ’80, con l’aiuto del CAI, ha progettato l’unione dell’Italia attraverso la sentieristica fino all’inaugurazione nel 1995.
Un’altra caratteristica del Pollino è la presenza del carsismo, ovvero dell’azione erosiva dell’acqua rendendo il suolo carsico, ovvero caratterizzato da doline, inghiottitoi naturali e grotte. Tra queste, quella più profonda è l’Abisso del Bifurto, che scende in verticale per 683 metri. La storia di questa grotta è stata raccontata dal regista Michelangelo Frammartino nel film “Il buco” presentato alla Mostra internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia. La pellicola racconta di un gruppo di speleologi piemontesi che agli inizi degli anni ’60 si recarono sul Pollino, ancora sconosciuto e senza le strutture ricettive di oggi. Erano dotati dell’attrezzatura minima necessaria, di cui alcuni materiali erano ancora quelli usati negli anni dell’anteguerra e lì rimasero per giorni e giorni per scoprire l’interno di questo inghiottitoio spingendosi fino a toccarne il fondo: -683 metri. Si trattava allora della terza grotta più profonda al mondo.
Dopo aver risalito i Piani del Pollino siamo finalmente arrivati alla GRANDE PORTA che segna l’inizio dei pini loricati fino ad arrivare al GIARDINO DEGLI DEI, 2000 metri di quota nel bosco che accoglie questi magnifici alberi. Si chiamano pini loricati dalla LORICA degli antichi romani. Nel 1905 lo studioso Biagio Longo, originario di Laino Borgo, notando la somiglianza con la corazza dei legionari romani, li ha chiamati con il nome con cui oggi li conosciamo: pini loricati. In realtà il nome scientifico è Pinus leucodermis Antoine, Antonie è colui che scoprì questa specie, leucomedis significa bianco, albero dalla pelle chiara perché quando muore, nonostante perda la corteccia, e gli aghi rimane bianco e argento. Quelli che troviamo sul Pollino sono una sottospecie, quella originaria si trova sui Balcani ed è la Pinus heldreichii dal nome dello scopritore Theodor von Heldreich, a dimostrazione del fatto che sia la penisola balcanica che quella italiana una volta erano unite. Nel giardino degli dei si trova un primo nucleo di pini loricati di circa 400 anni. Il nome giardino degli dei è un nome di fantasia, nelle carte più vecchie non esiste. Probabilmente gli è stato dato da Giorgio Braschi, uno dei più grandi conoscitori del parco che ha scritto il libro “Sui sentieri del Pollino. Passeggiate ed escursioni scelte nel cuore del massiccio del Pollino”.









Si tratta di un pino loricato, purtroppo ora morto, che è stato scelto come simbolo del Parco Nazionale del Pollino. Quando era in vita, era alto circa una decina di metri, con il tronco cavo e a forma di bandiera. La particolare forma era dovuta ai venti fortissimi, che qui arrivano a 150/160 km/h. Dal momento che il pino loricato è una specie resistente capace di adattarsi all’ambiente, invece di piegarsi al vento si è plasmato a forma di bandiera. Quando negli anni ‘60 si parlava di Area Naturale Protetta, il direttore del parco nazionale di Abruzzo, grande naturalista che veniva spesso sul Pollino, commissionò una piccola associazione culturale, affinché desse un simbolo al parco. Dal momento che questo pino loricato a forma di bandiera veniva visitato da vari gruppi di appassionati e scolaresche fu scelto come LOGO DEL PARCO. Nel 1988 ci fu stata una prima perimetrazione provvisoria e anche se il parco non era nato ufficialmente le voci contrarie non esitarono a farsi sentire. Nell’ottobre del 1993 alcuni vandali cosparsero di benzina il tronco dell’albero dandogli fuoco. Nonostante l’atto osceno che ha determinato la morte del pino loricato che allora è stato stimato di circa 1000 anni di età, zi’ Peppe è rimasto ancora lì ad accogliere visitatori e curiosi che prima di raggiungere il giardino degli dei passano a salutarlo.

GIORNO 4 - Castelmezzano, Pietrapertosa, Craco
CASTELMEZZANO, PIETRAPERTOSA
Questa mattina sveglia all’alba per visitare due borghi delle Dolomiti Lucane: Castelmezzano e Pietrapertosa. Anche se all’apparenza possono sembrare cittadine quasi dimenticate nel cuore della Basilicata, in realtà sono ricche di storia e di attività di svago per grandi e piccini. La mia tabella di marcia prevedeva una giornata da passare qui. Tuttavia, se possibile, consiglio di fermarsi più giorni per visitarle con calma e godere a pieno degli intrattenimenti che offrono.
Ho iniziato la giornata alle 7:00 facendo la Via Ferrata Salemm. Non me la sentivo di farla da sola e così nei giorni precedenti mi sono messa in contatto con un abitante del luogo nato e cresciuto qui che si è offerto di accompagnarmi in questa avventura. Durante la via, la vista che si gode sul paesaggio è mozzafiato. Uno dei tratti più suggestivi è la gradinata normanna, una scala di 54 gradini che conduceva ad un punto di avvistamento dell’antico castello di Castrum Medianum di origine normanno-sveva. Al termine dell’escursione mi sono ritrovata vicino al centro di Castelmezzano, da lì sono scesa in paese per ritirare i biglietti del Volo dell’Angelo che avevo precedentemente acquistato online. Il Volo dell’Angelo è un lancio a cielo aperto legati ad un filo acciaio che unisce Castelmezzano a Pietrapertosa. Il costo del biglietto è di 42 euro e comprende la tratta di andata e ritorno. Linea peschiere permette di lanciarsi da Castelmezzano (quota di partenza 1019 mt) e arrivare a Pietrapertosa (quota di arrivo 888 mt) raggiungendo una velocità massima di 120 Km/h. La Linea di San Martino parte da Pietrapertosa (quota di partenza 1020 mt) e arriva a Castelmezzano (quota di arrivo 859 mt) toccando i 110 Km/h. Dopo aver provato il doppio brivido degli oltre 100 Km/h avvolta a “salamella”, ho girovagato per i vicoli di Castelmezzano e infine ho ripreso la macchina dirigendomi a Pietrapertosa. Le origini di questo centro sono sconosciute, anche se le fortificazioni dell’acropoli fanno supporre che siano state costruite dai Greci della costa tra il IV e il V secolo AC. Fu abitata dai saraceni nel IX come dimostrano i resti del castello tuttora visitabili e il primo nucleo del centro abitato, costruito nel medioevo, è identificabile nell’Arabata o Rabata, sempre di origine saracena. Ho iniziato la visita alla cittadina proprio dai vicoli dell’Arabata dove le case, disposte a file dall’alto verso il basso, si adattano all’andamento del terreno, tanto da usare spesso la roccia stessa come parete. Proseguendo verso la parte alta del paese sono arrivata fino al Castello di Pietrapertosa, fortezza saracena costruita agli inizi dell’XI dal principe Bomar e divenuta successivamente residenza normanna e sveva.












CRACO
Una volta ripartita da Pietrapertosa ho fatto una deviazione per Craco, passando per il paesaggio suggestivo dei calanchi lucani. Craco è nota per essere la città fantasma della Basilicata, per lo spopolamento che colpì il borgo negli anni ’60 a seguito di una frana. La cittadina è chiusa e accessibile solo con un percorso di visita guidata. Una passeggiata lungo le mura e sono ripartita in direzione Matera, prossima meta del mio viaggio prima di passare in Puglia. Per terminare la giornata ho raggiunto Miglionico, dove ho soggiornato in un B&B immerso nella natura alla vista di papere che nuotavano nello stagno e coccolata dalla gentilezza dei proprietari che mi hanno offerto prodotti tipici locali.



GIORNO 5 - Matera
MATERA
“E cominciai anche io a scendere per una specie di mulattiera, di girone in girone, verso il fondo. La stradetta, strettissima, che scendeva serpeggiando, passava sui tetti delle case, se quelle così si possono chiamare. Sono grotte scavate nella parete di argilla indurita del burrone: ognuna di esse ha sul davanti una facciata; alcune sono anche belle, con qualche modesto ornato settecentesco. Queste facciate finte, per l’inclinazione della costiera, sorgono in basso a filo del monte, e in alto sporgono un poco: in quello stretto spazio tra le facciate e il declivio passano le strade, e sono insieme pavimenti per chi esce dalle abitazioni di sopra e tetti per quelli di sotto. Le porte erano aperte per il caldo. Io guardavo passando, e vedevo l’interno delle grotte, che non prendono altra luce ed aria se non dalla porta. Alcune non hanno neppure quella: si entra dall’alto, attraverso botole e scalette. Dentro quei buchi neri dalle pareti di terra vedevo i letti, le misere suppellettili, i cenci stesi. Sul pavimento erano sdraiati i cani, le pecore, le capre, i maiali. Ogni famiglia ha in genere una sola di quelle grotte per tutta abitazione e ci dormono tutti insieme, uomini, donne, bambini e bestie. Così vivono ventimila persone. Di bambini ce n’era un’infinità. In quel caldo, in mezzo alle mosche, nella polvere, spuntavano da tutte le parti, nudi del tutto o coperti di stracci. Io non ho mai visto una tale immagine di miseria: eppure sono abituata, è il mio mestiere, a vedere ogni giorno decine di bambini poveri, malati e maltenuti. Ma uno spettacolo come quello di ieri non l’avevo mai neppure immaginato. Ho visto dei bambini seduti sull’uscio delle case, nella sporcizia, al sole che scottava, con gli occhi semichiusi e le palpebre rosse e gonfie; e le mosche gli si posavano sugli nocchi, e quelli stavano immobili, e non le scacciavano neppure con le mani. Sì, le mosche gli passeggiavano sugli occhi, e quelli pareva non le sentissero. Era il tracoma. Sapevo che ce n’era quaggiù: ma vederlo così nel sudiciume e nella miseria è un’altra cosa. Altri bambini incontravo, coi visini grinzosi come dei vecchi e scheletrici per la fame; i capelli pieni di pidocchi e di croste. Ma la maggior parte avevano delle grandi pance gonfie, enormi, e la faccia gialla e patita per la malaria. Le donne, che mi vedevano guardare dalle porte, mi invitavano ad entrare: e ho visto, in quelle grotte scure e puzzolenti, dei bambini sdraiati in terra, sotto delle coperte a brandelli, che battevano i denti dalla febbre. Altri si trascinavano a stento, ridotti pelle e ossa dalla dissenteria. Ne ho visti anche di quelli con le faccine di cera, che mi parevano malati di qualcosa di ancor peggio che la malaria, forse qualche malattia tropicale, forse il Kala Azar, la febbre nera. Le donne, magre, con dei lattanti denutriti e sporchi attaccati a dei seni vizziti, mi salutavano gentili e sconsolate: a me pareva, in quel sole accecante, di essere capitata in mezzo a una città colpita dalla peste. Continuavo a scendere verso il fondo del pozzo, verso la chiesa, e una gran folla di bambini mi seguiva, a pochi passi di distanza, e andava mano a mano crescendo.” Cristo si è fermato a Eboli, Primo Levi
Matera è una città che affascina. Con la sua aura misteriosa e profonda sembra nascondere e proteggere i popoli che si sono succeduti fin qui. La sua storia risale a circa 8 mila anni fa, quando dall’altra parte della città, nella Murgia Materana, sono stati costruiti i primi 6 villaggi neolitici. Da quel momento la vita della città si è plasmata intorno agli accadimenti storici italiani: da principale snodo di comunicazione in epoca medievale, inseguito dimenticata, per poi ritornare in auge negli ultimi decenni.
Iniziando l’esplorazione da Piazza del Sedile notiamo subito come questa funga da spartiacque tra i due rioni storici: Sasso Barisano e Sasso Caveoso, il primo così chiamato perché rivolto verso la città di Bari, il secondo dal latino “cavea”, grotta. Si tratta dei famosi sassi di Matera noti in tutto il mondo perché i suoi abitanti costruirono le proprie case scavandole nella roccia; secondo un documento ufficiale il primo insediamento pietroso abitato risalirebbe al 1204. Quest’opera di adeguamento dell’uomo al territorio fu possibile grazie alla conformazione geologica di Matera, ovvero la calcarenite, una roccia di origine sedimentaria tenera e impermeabile e di conseguenza facile da lavorare.
Il primo uomo di politica ad interessarsi di Matera fu il Presidente del Consiglio Giuseppe Zanardelli che nel 1902 intraprese un viaggio in Basilicata. Interessato alla questione del Mezzogiorno, dato anche il problema del brigantaggio di fine ‘800, restò nella regione per due settimane visitando i principali centri e rimase colpito dall’arretratezza e dalle condizioni precarie in cui vivevano gli abitanti. “Cinque sesti della popolazione materana abitano in tugurii scavati nella nuda roccia, addossati, sovrapposti agli uni agli altri, in cui i contadini non vivono ma a mo’ di vermi brulicano squallidi avvoltoi nella promiscuità innominabile di uomini e bestie, respirando aure pestilenziali”. Al rientro in Parlamento si adoperò per promuovere una legge di risanamento ma la sua età, unita alle condizioni precarie di salute, non gli permisero di vederla realizzata.
Un altro personaggio storico chiave, cruciale per far conoscere le condizioni di vita degli abitanti della Basilicata, fu Primo Levi. Medico, scrittore, politico e antifascista, nel 1935 fu costretto al confino nella regione lucana, dapprima nel paese di Grassano, poi in quello di Aliano. Vi rimase per circa un anno e dalla profonda esperienza vissuta, nel 1948 a ridosso della fine della Seconda Guerra Mondiale fu pubblicato il libro “Cristo si è fermato a Eboli”, una vera e propria opera di denuncia sociale volta a smuovere le coscienze dell’Italia intera.
Sulla scia del libro di Levi, il primo politico italiano a recarsi in Basilicata fu Palmiro Togliatti, leader del Partito Comunista, che nel 1948 definì i sassi di Matera “vergogna nazionale”. Era impensabile che a quell’epoca 17 mila persone vivessero in stipati 3 mila grotte con un’unica apertura, un alto tasso di umidità e una scarsa igiene, dal momento che gli animali (asini, maiali e galline) risiedevano negli stessi ambienti fungendo da fonte di calore nei mesi invernali.
Nel 1950 scese il primo Ministro Alcide De Gasperi e nel 1973 venne emanata la “Legge Speciale per lo Sfollamento dei Sassi”, una normativa con l’intento di risolvere la questione lucana. Dal 1953 al 1973 gli abitanti di Matera lasciarono i sassi e furono ospitati da 2 città satellite costruite appositamente, Borgo La Martella e Borgo Venusio, e in 5 quartieri rurali che diventeranno il moderno centro urbano della città. Nel 1981 cominciarono i primi lavori di ristrutturazione nel Barisano in presenza del Presidente del Consiglio Spadolini. Nel 1986 venne emanata un’altra legge parlamentare per far rientrare le persone sfollate. Tuttavia era ormai passata una generazione, la discendenza si stava perdendo ed era difficile risalire ai proprietari così nel 1993 divennero Patrimonio dell’Unesco , per un 70% di proprietà del demanio.
Poco a poco Matera stava conquistando il suo posto nella scena nazionale. Fu scelta infatti come set cinematografico per il film di Pier Paolo Pasolini “Il Vangelo Secondo Matteo” del 1964. Mentre nel 2004 con “The Passion”, regia di Mel Gibson, cominciò ad avere risonanza nel panorama internazionale. La svolta avvenne il 17 Ottobre 2014 quando Dario Franceschini in veste di Ministro della Cultura proclamò Matera Capitale Europea della Cultura 2019. Da quel momento molte opere di riqualificazione sono state portate a termine proiettando il capoluogo lucano in una dimensione mondiale.







SISTEMA DI RACCOLTA DELLE ACQUE A MATERA AGLI INIZI DEL 1900
Lo sviluppo architettonico di Matera avvenne dall’alto verso il basso. Sotto il piano pavimentale, sotto le case, incassate nel territorio e impermeabilizzate con intonaco a base di terracotta sbriciolata c’erano un totale di cinque cisterne comunicanti tra loro, tra cui quella del Palombaro Lungo, la seconda più grande d’Europa. Le cisterne servivano a raccogliere le acque sorgive e la potabilità delle acque veniva misurata con il pesce pulitore che si trovava nell’ultimo ambiente: nel momento in cui moriva significava che l’acqua era pronta per essere bevuta. Le donne si approvvigionavano dell’acqua del Palombaro Lungo calando dei secchi attraverso un pozzo profondo. Queste cisterne e pozzi annessi entrarono in disuso dal 1927 quando Matera si allacciò alla vicina rete idrica pugliese.
Legato alla raccolta delle acque è interessante approfondire anche il sistema di smaltimento delle stesse. Fino ad un secolo fa l’animale era il principale mezzo di trasporto. Al termine della prima guerra mondiale il numero di muli, cavalli e asini morti in battaglia fu di 8 milioni. Servivano a tutto: spostare persone, derrate alimentari, armamentario. Le gradinate stesse di Matera furono concepite a passo di mulo, l’animale per eccellenza usato non solo per lavorare nei campi ma anche come compagnia sia all’esterno che all’interno delle abitazioni per riscaldarsi durante l’inverno. Fino a 70 anni fa non c’erano servizi igienici per cui gli escrementi dell’animale venivano usati in campagna come fertilizzante mentre quelli dei contadini deposte all’interno di vasi da notte chiamati canteri per poi essere sversate sulla lama, il fondo del sasso che con la sua forma oblunga fungerà da canale di scolo fino al canyon, la gravina. Fu l’intervento di Benito Mussolini nel 1936 a cambiare il sistema di smaltimento. Arrivato in piena propaganda elettorale realizzò la bonifica della cloaca o grabiglione, ovvero la fogna a cielo aperto della città, con la costruzione del primo sistema fognario.


