Tivoli
Se cercate un week-end tranquillo immersi tra natura e cultura, la perla di Tivoli alle pendici dei Monti Tiburtini, è sicuramente una scelta ottimale. Qui ogni nome, ogni via non è mai per caso. Tutto ha un significato ben preciso che affonda le sue origini in una storia lunga secoli, di cui uno dei protagonisti principali, fin dall’epoca preromana, è rappresentato dal Fiume Aniene. L’ideale è visitare le bellezze di questa città, tra cui spiccano Villa Adriana e Villa d’Este, entrambe Patrimonio Mondiale dell’Umanità UNESCO, e Villa Gregoriana accompagnati da guide turistiche, così da assaporarne fino in fondo vicende, luoghi e personaggi che si sono succeduti nel corso delle epoche fino ai giorni nostri.
LE ORIGINI
Siamo nel 1215 AC., c’è un esercito di origine greca formato da Tiburno, Catillo e Cora in cerca di un luogo nella penisola italica dove fondare un nuovo insediamento. Si ritrovano nell’Alto Lazio, in Etruria. Scendendo verso sud arrivano lungo l’argine sinistro di un fiume all’epoca detto Parensio e il maggiore dei tre, Tiburno, lo reputa il luogo adatto per fermarsi e definire i confini di quella città che proprio da lui prenderà il nome: Tibur, l’odierna città di Tivoli. Nel frattempo il più giovane dei tre fratelli, Catillo, si innamora perdutamente di una fanciulla: Salea, tanto da decidere di rapirla e portarla con sé. Ma Salea è la figlia del Re degli Etruschi, Anio, che arma un esercito e si mette alla sua ricerca. Individuato il luogo in cui i fratelli con il loro esercito si sono fermati, arriva ormai a notte fonda lungo l’argine destro del fiume Parensio, dalla parte opposta. Nonostante i consigli dei suoi generali di non guadare il fiume con le tenebre data l’imponenza dello stesso, ma di aspettare le prime luci del giorno, Anio decide di attraversare lo stesso il fiume Parensio e viene travolto dal suo impeto morendo annegato. Da allora Tiburno, per rendere omaggio al sacrificio del padre coraggioso, cambia il nome del fiume da Parensio in Aniene. La leggenda continua. Catillo prende Salea e la porta su uno dei monti alle spalle di Tivoli per concupirla e allora il fiume comincia a ruggire. Uno spirito, quello di Anio si alza dalle sue acque, raggiunge Salea, la sfiora con un dito e la fa scomparire. Catillo impazzisce. Comincia a cercare la sua amata in quel posto da cui non farà mai più ritorno e che prenderà il nome di Monte Catillo.
Villa Adriana
Villa Adriana fu la residenza dell’imperatore Publio Elio Traiano Adriano, conosciuto come Adriano, nato ad Italica in Spagna nel 76 DC. Mentre l’imperatore Traiano, suo predecessore e padre adottivo voleva essere considerato un vero e proprio guerriero vista anche la politica estera espansionistica adottata, Adriano si interessò maggiormente alle arti, fu un uomo curioso che viaggiava moltissimo nelle province Nord Africa, Asia, Grecia, Egitto. Rimase a capo dell’impero romano per 21 anni, dal 117 DC al 138 DC. Morì Baia, vicino Napoli, all’età di 62 anni e in vista di ciò si fece costruire un mausoleo funebre, la Mole Adrianorum, che nel corso dei secoli ha subito diverse trasformazioni fino a come la conosciamo noi oggi, Castel Sant’Angelo. Dopo la sua morte, la villa fu completamente abbandonata, chiunque poteva entrare nel sito e portare via il materiale necessario ad ornare altre residenze, come nel caso di Villa D’Este. Grazie ai ritrovamenti dei bolli laterizi, è stato possibile risalire alle fasi di costruzione della villa che furono tre: 118 DC, 134 DC e 135 DC. Le ragioni principali che spinsero Adriano a scegliere Tivoli per la sua villa furono: la vicinanza con Roma (30 km di distanza); il clima piuttosto mite e la navigabilità dell’Aniene.
Mi soffermerò su quello che mi ha affascinato maggiormente dell’estro di Adriano, ovvero il suo genio come architetto contribuendo lui stesso alla costruzione della sua villa composta da 35 strutture, circa 40 ninfei, ovvero giardini e fontane a scopo decorativo e l’utilizzo di marmi pregiati colorati proveniente da tutte le province dell’impero.
PECILE – si trattava di un quadriportico che delimitava una pescheria, una grande piscina centrale. Oggi è rimasto solo il muro, ma all’epoca di Adriano era formato da un doppio porticato sotto cui era solito passeggiare l’imperatore.
TEATRO MARITTIMO – Il nome teatro è di fantasia, marittimo perché si tratta di una struttura muraria cinta da 38 colonne che si affacciavano su un canale navigabile profondo 1,5 m. Vi erano 2 piccoli ponti di legno levatoi, manovrabili solo dall’interno, si pensa che Adriano fosse solito alzarli per poter rimanere da solo in meditazione quando ritornava dai suoi lunghi viaggi. In questo spazio c’è un effetto scenografico dato dalle colonne che si specchiano sull’acqua, lo stesso fu ripreso nel XVI DC per la costruzione di Villa d’Este.
COMPLESSO TERMALE – c’erano tre complessi termali: terme con heliocaminus, grandi terme e piccole terme. In tutte e tre si usava il classico modello di riscaldamento. Soffermandoci sul primo, le terme con heliocaminus o camino solare, le più antiche, furono così chiamate perché inizialmente si pensava erroneamente che il riscaldamento dell’acqua fosse dovuto all’esposizione delle finestre al sole. In realtà il sistema utilizzato era quello classico dell’ipocausto, ovvero gli schiavi riscaldavano l’aria con il legname, questa entrava attraverso dei condotti in pietra detti praefurnia per poi defluire in una fitta rete di tubi in laterizio posti tra gli incavi della parete. Nel complesso possiamo notare come dalle nervature nella massa muraria partissero la volte a crociera dette anche Zucche di Adriano. Il nome gli venne affibbiato dopo un episodio che vide coinvolto Adriano non ancora imperatore e Apollodoro di Damasco, architetto favorito di Traiano. Durante un confronto Adriano diede un’opinione ad un lavoro effettuato da Apollodoro che, infastidito, gli rispose: “Vattene, tu di questo non capisci nulla. Pensa alle tue zucche.” In realtà si riferiva alle volte a crociera della villa. La storia narra che una volta diventato imperatore, Adriano si ricordò di questa discussione, fece esiliare l’architetto e forse lo fece anche uccidere.
CANOPO – È probabilmente la struttura più scenografica della villa. Adriano era sposato con Vibia Sabina ma allo stesso tempo amava un bellissimo ragazzo: Antinoo che morì giovane in circostanze misteriose durante una crociera sul Nilo con Adriano nel 130 DC. Dopo la morte, l’imperatore lo divinizzò e fondò in suo nome la città greca di Antinopoli. Non solo, fece riempire il palazzo imperiale con molti busti di marmo a lui dedicati. In virtù di questo e di una serie di ritrovamenti di sculture che rimandavano all’Egitto (il coccodrillo, le sileni), all’inizio si pensò che il Canopo avesse la funzione di ricordare lo scorrere del Nilo dove il giovane amato trovò la morte. In realtà, grazie ai bolli laterizi, la costruzione del Canopo risulta antecedente la morte di Antinoo, e la presenza di un letto triclinare nel padiglione a esedra sembra destinare la struttura ad uno spazio per banchetti in una cornice esotica.






Villa d'Este
E’ una villa rinascimentale realizzata tra il 1550 e il 1572, residenza del cardinale Ippolito II d’Este, figlio di Lucrezia Borgia e di Alfonso d’Este, terzo duca di Ferrara. La famiglia d’Este proveniva da Ferrara. Ippolito d’Este entrò qui nell’antica Tibur, odierna Tivoli, con l’incarico di governatore della cittadina, aspirando a diventare il futuro papa, carica che non riuscì ad occupare data la propensione alla bella vita. Ai tempi di Ippolito d’Este, il Fiume Aniene non era ancora stato deviato e la sua portata era di 1300 litri di acqua al secondo. Pirro Ligorio fu l’architetto che ideò la residenza e sfruttò le acque del fiume attraverso un sistema di vasi comunicanti che permetteva l’approvvigionamento delle tante fontane dei giardini. Inoltre a 4km da qui c’è Villa Adriana che venne sfruttata come cava di materiali per abbellire la villa rinascimentale. Nel 1572, dopo la morte di Ippolito, il patrimonio passò al successore della Famiglia d’Este fino al 1624. Da questo anno in poi subentrano gli Asburgo d’Austria che contribuirono alla rovina della villa fino al 1918, anno in cui diventò proprietà dello stato italiano.
Gli interni dell’appartamento nobile spiccano per gli affreschi compiuti dai pittori del manierismo italiano: Federico Zuccari, Girolamo Muziano, Livio Agresti. Molte delle sale riportano negli angoli del soffitto i simboli della famiglia d’Este: l’aquila bianca simbolo di forza e il giglio di Francia color oro, questo perché nel 1538 il cardinale fu nominato protettore di Francia alla corte di Francesco I.
La parte più spettacolare resta quella esterna con i giardini all’italiana: un parco di 4 ettari disposto su 3 livelli che, insieme a quello dei Boboli a Firenze, fu preso come esempio per la realizzazione di altre corti europee. Nel primo livello si può ammirare la Fontana dell’Ovato, di forma semi-circolare con al centro al statua della Sibilla Albunea di Tivoli, colei che poteva prevedere il futuro. Continuando si arriva al Viale delle Cento Fontane, ognuna delle quali con rappresentazioni diverse e la cui pavimentazione è formata da marmi colorati provenienti da Villa Adriana. In direzione opposta alla Fontana dell’Ovato si trova la Piccola Roma o Rometta, con una barca da cui si erge un obelisco che potrebbe simboleggiare la massima autorità della chiesa, ovvero il papa, oppure l’Isola Tiberina a Roma. In alto Atena, e ai suoi lati la lupa, simbolo di Roma e i vecchi templi. Nel secondo livello si continuano ad ammirare fontane che rimandano ai miti del passato. Tra queste la Fontana di Proserpina e ma anche la Fontana dei Draghi che si narra sia stata costruita in una sola notte in onore di Papa Gregorio XIII, ospite del cardinale. Scesi al terzo ed ultimo livello, si può godere della splendida vista della Fontana dell’Organo, una vera e propria opera di ingegneria idraulica. In alto ogni ore si può vedere e sentire l’organo di acciaio suonare. In basso la Fontana di Nettuno. L’intero complesso si riflette su una peschiera, a Villa d’Este ce ne sono 3 ognuna delle quali profonda 4 m. Venivano usate oltre che come decorazione, per allevare pesci, tanto che il cardinale era solito deliziare i suoi ospiti con ricchi barbecue a base di pesce pescato direttamente in loco.






Villa Gregoriana
Di proprietà dello stato italiano, ma attualmente gestita dal FAI, la storia di Villa Gregoriana, come ogni cosa che parla di Tivoli, ha radici che affondano in un passato mitico, attraversano la storia di Roma antica, per poi giungere al 1826, l’anno della svolta, fino ai giorni ai nostri. Fin dall’antichità, i tiburtini erano soliti affidarsi al soprannaturale per cercare di placare gli animi del fiume Aniene che con una portata di 32 metri cubi al secondo si gettava nella così detta Valle dell’Inferno. Si appellavano in particolare alla Sibilla Albunea il cui fuoco sacro ardeva all’interno del tempio circolare sito nell’acropoli dell’antica Tibur risalente al 100 AC circa. I romani intervennero puntellando la città di canali diversori da aprire ogni qual volta il fiume aumentava di livello. Con il crollo di questo, tutto venne abbandonato e il fiume riprese a padroneggiare nella sua bellezza e pericolosità incontrastata, tra l’orrido e il sublime, fungendo da richiamo per gli avventurieri del Gran Tour del Settecento. Artisti come Byron e Goethe si calavano con le corde nella Valle dell’Inferno pur di ammirare la natura violenta e affascinante dell’Aniene che s’inabissava scomparendo nelle Grotte delle Sirene.
Fino al 16 novembre 1826, quando il fiume fu protagonista di una terribile esondazione che spazzò via tutto. Ad intervenire fu lo stato pontificio, di cui Tivoli era parte, inizialmente con Leone XII. Tuttavia la svolta avvenne nel 1831 con l’elezione al soglio pontificio di Papa Gregorio XVI che trovò la soluzione finale rinominando il complesso stesso. Con un bando a risonanza continentale e un investimento di circa 7 milioni e mezzo di euro in termini monetari odierni, l’opera di ingegneria idraulica fu affidata a Romano Clemente Folchi, che aveva già avuto un’esperienza simile con la Cascata delle Marmore, la prima cascata artificiale più alta d’Italia. Il meccanismo che intendeva utilizzare per l’Aniene era lo stesso: deviare il corso del fiume traforando il Monte Catillo. In soli 2 anni e mezzo furono scavati 2 tunnel della lunghezza di 280 m ciascuno che permisero la canalizzazione delle sue acque al di fuori della città, mentre all’interno del parco fu lasciata la cascata artificiale che con un balzo di 120 m divenne la seconda più alta d’Italia, dopo quella umbra. Il giorno dell’inaugurazione fu il 7 ottobre del 1835, ma il papa continuò la sua opera di messa a punto della villa facendo costruire tutti i camminamenti, il belvedere e i punti prospettici che si sviluppano sulla verticale della Valle dell’Inferno, gli stessi su cui camminiamo ancora oggi.
Durante la costruzione di questo giardino romantico in stile inglese, Papa Gregorio trovò anche i resti di una villa romana appartenente ad un patrizio, padre del console romano Manlio Vopisco (I DC), grande oratore che utilizzava la villa come crocevia culturale organizzando banchetti per gli ospiti a base di pesce fresco pescato direttamente da uno dei canali diversori dell’Aniene.
Dal secondo dopo guerra fino alla fine degli anni ’90 la villa rimase in uno stato di completo abbandono, fino a quando un famoso economista che abitava a ridosso del parco ne sollecitò l’azione. Entrò in gioco il FAI che ottenne le concessioni nel 2002 e dopo 2 anni e mezzo di lavori, l’11 maggio 2005, riaprì definitivamente le porte della villa e da quel momento guida i visitatori alla conoscenza dei tesori nascosti in quest’atmosfera fiabesca tra leggenda e realtà.




Centro storico
Quello che mi ha colpito maggiormente del centro storico di Tivoli sono le vie strette che si snodano tra vari dislivelli e i tesori nascosti che emergono all’improvviso, mentre si aggirano gli angoli della strada. Parcheggiando in Piazza Matteotti si può iniziare la passeggiata da Piazza Garibaldi dove si trova la scultura ad arco di Arnaldo Pomodoro. Dopo di che è un reticolato di vicoli in cui si possono ammirare opere appartenenti a secoli differenti. Ai margini dell’acropoli dell’antica Tibur sorgono 2 templi, uno rettangolare risalente al 150 AC forse dedicato a Tiburno, il fondatore della città, e uno rotondo del 100 AC in onore della Sibilla Albunea, signora dei boschi e delle bianche acque, che secondo la leggenda i tiburtini invocavano per placare l’impeto del fiume Aniene e proteggere la città dalle sue esondazioni. I due templi si raggiungono o al termine della visita di Villa Gregoriana, oppure passando per Via della Sibilla. Una visita alla Cattedrale di San Lorenzo in Piazza del Duomo, per poi continuare alla scoperta di tesori nascosti come la Casa Gotica e il Santuario di Ercole Vincitore.




